giovedì 29 dicembre 2016

La Pittura, cos’è?

La Pittura, cos’è?

La pittura è un linguaggio espressivo fra i più antichi, che solo attraverso uno studio approfondito della sua tecnica raggiunge il suo fine: lungi dal chiudere gli
orizzonti, l’apprendimento della tecnica li apre verso nuove possibilità e sperimentazioni. Essendo la pittura un linguaggio, il pittore ha necessità di un mezzo sicuro per esprimersi, e quanto più si impadronisce di esso tanto più aumentano le probabilità che il suo discorso sia chiaro e comprensibile.
Ma linguaggio personale e tecnica non sono sufficienti, è necessario un oggetto: la realtà visibile, dalla quale, da sempre, si inizia il cammino.  Questo non significa che la pittura debba consistere in una riproduzione del vero, ma che, per creare, l’occhio umano ha necessità di vedere. E quanto più attentamente osserva, e vede, tanto più è in grado di elaborare e esprimere la sua propria visione personale.
Questo processo (realtà-osservazione-visione-espressione) ha prodotto una storia attraverso il lavoro e la ricerca personale e di gruppo dei pittori. Prendere coscienza di questa storia arricchisce il proprio vocabolario, in maniera del tutto naturale, come pure il lavorare di fianco ad altri pittori, il confronto.
La pittura non è un passatempo, è un modo per comprendere la realtà e per inserirsi in essa, ognuno con la propria particolarità. L’osservazione della realtà quanto più è attenta e onesta, tanto più obbliga a una visione personale, come traduzione di ciò che si vede col proprio linguaggio: è qui che entra in gioco l’uso e la padronanza del mezzo pittorico. Come per la lingua parlata anche qui occorre una pratica insieme allo studio disciplinato. Come per la parola anche in pittura il linguaggio ha necessità di tempo per svilupparsi, e all’ inizio è come un balbettare infantile.
Personalmente cerco di insegnare a vedere come io stessa vedo, quello che mi pare corrisponda quasi a un’etica di vita, una visione di armonia dei contrasti. E di afferrare la bellezza di qualcosa che semplicemente è, esiste. Questo tipo di iniziazione alla visione non prevede un compiacimento tecnico, quanto più si ritiene di avere imparato, tanto più si deve ricominciare sempre tutto daccapo. Al contrario, il compiacimento tecnico nella pittura segna la sua fine, e la pittura moderna ha lottato in tutti i modi contro questa deriva, ma allo stesso tempo senza l’operare concreto la pittura muore, svanisce come una bolla. La tecnica va ricercata parallelamente alla visione personale, si tratta di un’unica conoscenza.
Il progressivo scemare dell’interesse per la tecnica pittorica, con l’illusione più o meno dichiarata di poter fare a meno della tecnica (qualsiasi mezzo sarebbe uguale ai fini dell’espressione, mentre l’espressione di sè sarebbe il massimo valore) finisce col togliere alla pittura il suo significato di linguaggio, la trasforma in un gergo arbitrario, comprensibile solo a chi parla e per questo necessitante di una specie di traduzione: qui si impone la figura del critico.
Ma se osserviamo la storia, i pittori non hanno dipinto solo per esprimere sé stessi, in un trionfo di egocentrismo, ma l’ispirazione li guida fuori di sé, attraverso una “ricerca”, per condurli  in un  mondo “altrove” da sé. Nel caso in cui ciò non accade la pittura, da linguaggio dialogico e fecondo diventa sterile monologo, non convince più nessuno, non parla più, diventa noiosa per chi la crea e per chi la guarda. Esiste un valore  in sè nel dipingere, come ricerca nobile e valida alla pari di altre, mentre da tempo fra i pittori sembra aleggiare un inquietante senso di colpa  per il “semplice” dipingere,  considerato da molti un trastullo di dilettanti.

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