domenica 4 dicembre 2016

Adolf Hitler pittore e artista


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Hitler sogna di diventare pittore e di passare successivamente al mondo dell’architettura. Cresce in un ambiente carico di silenzi grevi, che incidono sull’introversione del ragazzo: i rapporti con il padre, impiegato statale alla Dogana, non sono idilliaci, mentre forte è
l’affetto che nutre per la madre Clara. Non ancora adulto perde entrambi i genitori. Il padre muore nel gennaio del 1903 per tubercolosi, mentre la madre muore nel dicembre del 1907 a causa di un cancro. E’ questo un momento cruciale per vita del giovane Adolf ; egli infatti, che durante il periodo scolastico aveva manifestato inclinazione per il disegno e la pittura, progetta di frequentare l’Accademia di Belle arti, affascinato dalla pittura e, ancor maggiormente, dall’architettura.
Per questo punta su Vienna. …”dalla mattina presto fino alla notte io correvo da un museo all’altro – scrive ne “La mia vita” . ma eran quasi sempre i palazzi che mi attiravano a tutta prima. Ero capace di passare delle ore davanti all’Opera o davanti al Parlamento…”. Da qui discende la massima efficacia del pittore nei confronti delle vedute urbane, nella ricostruzione minuziosa delle facciate degli edifici.
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Alla scuola tecnica che Adolf aveva frequentato precedentemente – e che aveva abbandonato poiché si era dimostrato un allievo problematico, dal rendimento scarso, con problemi di integrazione a causa di un carattere turbolento – era di gran lunga il miglior disegnatore della classe. Da questa abilità, ampiamente riconosciuta dai compagni e dagli insegnanti, parte per la costruzione del proprio futuro pittorico. Si reca quindi nella capitale austriaca per “sostenervi gli esami si ammissione in quell’accademia… convinto di poter sostenere facilmente – come racconta egli stesso – tale esame, quasi giuocando”. Ma i fatti non vanno nella direzione prevista: “Ero talmente convinto del successo – racconterà Hitler – che la bocciatura mi colpì come un fulmine e ciel sereno. Ma era proprio così. Come mi presentai dal rettore e gli chiesi di chiarirmi i motivi della mia bocciatura, quel signore mi assicurò che dai disegni che avevo presentato risultava con ogni evidenza che non ero assolutamente adatto a fare il pittore, ma che il mio talento mi portava piuttosto verso il campo dell’architettura”. Una pietosa bugia? Forse.
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Ma il docente doveva aver osservato, nel segno rigido dell’aspirante allievo, quella petrosità della linea tipica di chi parte dalla griglia chiusa del disegno tecnico. L’architettura sembra pertanto la via confacente a Hitler. Creatività ancorata al piano del disegno tecnico rispetto al quale non viene richiesta la fluidità del segno. Eppure anche questa opportunità finisce per infrangersi nel momento in cui Hitler apprende che “l’ammissione alla scuola di architettura presupponeva la licenza della sezione architettonica della scuola tecnica; ma per l’entrata in questa si esigeva la licenza di scuola media. Tutto ciò mi mancava completamente. L’adempimento del mio bel sogno non era più possibile” .
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Tutte le proiezioni fantastiche crollano, così, in breve tempo; ma Adolf, abbandonato a se stesso, si trasferisce definitivamente a Vienna. Coincide molto probabilmente con questo periodo il peggioramento del quadro psicologico, dettato da una situazione alienante; sono anni, infatti, in cui il futuro dittatore è costretto a vivere da vagabondo. Per poter guadagnare qualcosa cerca comunque, come pictor minimus, di mettere a frutto la predisposizione per il disegno e la pittura; dipinge allora cartoline e piccoli quadri-souvenir che vende poi lungo le strade con l’aiuto di Reinhold Hanissch, un compagno di disavventure conosciuto nell’ambiente antropologicamente devastato di un pubblico dormitorio. Queste opere raffigurano paesaggi urbani, edifici monumentali e qualche scorcio bucolico che rivela un sensibile uso degli accordi cromatici. A Hitler potrebbe aprirsi uno spazio formativo che potrebbe condurlo a una professione. Ma il suo carattere solitario e risentito, nonchè l’ambiente degradato in cui vive senza condivisione delle umiliazioni che subisce un artista – che risultavano invece condivise in una città artistica come Parigi – lo portano a considerare l’arte come un desiderio e una frustrazione; un rapporto di amore controverso e terribile, come quello che egli intrattiene con il mondo femminile.
Dal 1911 realizza opere più impegnative. I committenti sono i corniciai – che, non accontentandosi di esibire una cornice orfana, dotano l’opera lignea di un dipinto – e i mobilieri che realizzano divani con quadretti inseriti nello schienale, come andava di moda a quei tempi. Sotto il profilo stilistico, il pittore può essere inserito, come epigono, nel vedutismo ottocentesco. Nel 1913, Hitler si trasferisce a Monaco per sfuggire al servizio di leva e qui si specializza nella copia di antichi dipinti di soggetto religioso e in paesaggi. Per tutta la vita, il dittatore si sentirà principalmente un artista e le sue biografie narrano che, per assecondare questa vena, cercava di non rendersi riconoscibile e raggiunse, qualche volta, le osterie in cui si riunivano gli artisti. E’ anche curioso notare che egli risparmiò la vita ad alcuni pittori comunisti, affermando che, in fondo, l’adesione a un contropotere apparteneva al quadro psicologico di diversi suoi colleghi.
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