la scena mondiale soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, strappando il primato alla Francia e alla Gran Bretagna, che nel corso del secolo precedente erano state le patrie indiscusse dell’esperienza artistica.
Oggi, esaurita forse la carica propulsiva della pop art e l’influenza dei primi graffitisti, dove sta però andando l’arte a stelle e strisce? O, meglio ancora, quali sono i più grandi pittori viventi che hanno segnato l’arte americana degli ultimi venti o trent’anni?
Escludendo i vari Warhol, Basquiat e Haring – scomparsi troppo presto, per motivi diversi, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta – abbiamo cercato di tracciare una cinquina che abbracci le diverse declinazioni della pittura e dell’arte grafica negli Stati Uniti, mostrandone i capolavori e le nuove tendenze: eccola.
Oggi, esaurita forse la carica propulsiva della pop art e l’influenza dei primi graffitisti, dove sta però andando l’arte a stelle e strisce? O, meglio ancora, quali sono i più grandi pittori viventi che hanno segnato l’arte americana degli ultimi venti o trent’anni? Escludendo i vari Warhol, Basquiat e Haring – scomparsi troppo presto, per motivi diversi, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta – abbiamo cercato di tracciare una cinquina che abbracci le diverse declinazioni della pittura e dell’arte grafica negli Stati Uniti, mostrandone i capolavori e le nuove tendenze: eccola.
Jasper Johns
La coscienza dell’America, dalla bandiera in poi
Forse il più importante pittore americano vivente è attualmente Jasper Johns, vincitore del Premio Imperiale nel 1993 e del Premio Wolf per le arti nel 1986 (i due massimi riconoscimenti nel settore) e padre, assieme allo scomparso Robert Rauschenberg, del cosiddetto New Dada. Nato in Georgia nel 1930 ma cresciuto in Carolina del Sud, Johns studiò in parte all’Università di South Carolina e in parte a New York, avvicinandosi alla pittura negli anni ’50 e realizzando il suo capolavoro – Tre bandiere – già nel 1958.
Per molto tempo il suo tentativo, richiamandosi esplicitamente al dadaismo di Duchamp, fu quello di inserire nei suoi quadri elementi della quotidianità, oggetti che «si guardano ma non si vedono» (i celebri ready-made), a dare una rappresentazione piatta e quasi tautologica. Molto particolare anche la tecnica usata in molti suoi lavori, quella dell’encausto, che utilizza cera punica e che risale addirittura ai greci e ai romani. I suoi lavori principali sono conservati al MoMA di New York e al Whitney Museum of American Art sempre di New York.
Frank Stella
L’arte minimalista
All’estremo opposto di quella di Johns si pone l’arte dell’italoamericano Frank Stella, nato in Massachusetts nel 1936 e considerato uno dei padri del minimalismo in pittura. Formatosi alla scuola dell’espressionismo astratto e fortemente influenzato, almeno all’inizio, dalla pittura di Jackson Pollock, se ne distaccò dopo che il successo gli arrise molto precocemente, cercando la propria strada in una pittura autoreferenziale, geometrica, minimale, che si poneva proprio in contrapposizione con gli emulatori di Pollock e soprattutto con la pop art, che d’altra parte dominava in quegli anni la scena artistica americana.
I suoi lavori per sua stessa ammissione non hanno alcun significato recondito, né vogliono trasmettere alcuna emozione o pensiero dell’artista: «In essi – spiegava proprio Stella con una delle sue più famose frasi – esiste solo ciò che si può vedere».
Stabilitosi a New York, dove vive tutt’ora, dopo aver studiato storia ad Harvard, Stella ha prodotto i suoi lavori maggiori tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70, quadri che sono oggi conservati principalmente al Whitney Museum of American Art, alla Menil Collection di Houston, all’Hirshhorn Museum e alla National Gallery of Art di Washington e al Museum of Modern Art di San Francisco.
Ed Ruscha
La pop art in una serie di scritte
Se vi piace condividere, su Instagram, Facebook o altri social network, certe immagini quadrate con grandi scritte in primo piano che sono così frequenti al giorno d’oggi, sappiate che quelle immagini hanno un antesignano artistico nell’opera di Ed Ruscha, pittore e fotografo nato nel 1937 a Omaha, in Nebraska, ma cresciuto tra l’Oklahoma e la California.
Dopo alcune esperienze nel settore della grafica pubblicitaria e dell’impaginazione di riviste – che avrebbero avuto una pesante influenza sulla sua opera – si avvicinò sia al New Dada (grazie proprio all’esempio di Johns) e alla pop art, tanto che la maggior parte dei suoi lavori sono ancora inclusi dai critici in quest’ultima corrente, anche se pesante è pure l’influenza di Edward Hopper ed è difficile inquadrare Ruscha in un solo stile.
Shepard Fairey
La street art entra nei musei
Concludiamo con un artista piuttosto giovane ma già diventato celebre in tutto il mondo per un motivo non solo artistico ma anche politico: stiamo parlando di Shepard Fairey, il grafico e pittore che per un certo periodo si è firmato con lo pseudonimo di Obey ma che è diventato celebre per aver realizzato il poster Hope durante la prima campagna presidenziale di Barack Obama, poster che è diventato il simbolo di tutto quello che quel candidato – poi vittorioso – rappresentava per il popolo americano. Nato in Carolina del Sud nel 1970, è considerato uno dei maggiori esponenti della street art a livello mondiale, anche se alle opere in strada ora alterna anche poster, copertine e veri e propri quadri.
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