Cos'è il bello? Cos'è l'amore? ...cos'è l'arte?...
I più si affrettano a liquidare la faccenda agrappandosi a frasi fatte di conclamato buon senso: "la bellezza è soggettiva", "non esiste un opinione giusta e una sbagliata",
"ogni punto di vista è rispettabile"...
Altri, caparbiamente, si ostinano a cercare significati assoluti, oggettivi, giungendo inevitabilmente a ridosso dei confini dell'astratto, per poi glissare in infinite periferie logiche.
Io sono certo che questa diatriba sia insensata.
Oramai dovrebbe essere abbastanza chiaro che la verità è oltre la mente; l'oggettivo è pertinenza della mente olografica, di quella parte dell'essere che è uno-con-tutto, giacendo in un mare indistinto di potenzialità non specializzate (oceano yin). Al contrario, ogni cosa afferrabile dalla mente è localizzata, soggettiva e relativa.
Non esiste quindi la possibilità di rendere l'assoluto reale in parole mentali.
La verità, la bellezza e l'amore giacciono nell'altrove.
Ma l'arte?
Nel simposio platonico, Diotima spiega a socrate che non esiste solo l'erudito e l'ignorante, ovvero il non-erudito; esiste anche colui che sa ma non sa spiegare ciò che sa, talvolta neppure a se stesso.
Questo terzo tipo, che nel celebre dialogo diviene l'emblema del Dio Eros-Amore, appare rivelatorio anche con riguardo all'arte.
SIMPOSIO - testo completo
Un artista è tale solo dal momento che è in grado di dimostrarlo?
Dunque l'arte è un "fare"? ...parafrasando dunque Platone, al pari di "essere in Eros", non sarebbe più corretto riferirsi ugualmente all'arte, "essere in Arte"?
Essere in Arte emancipa immediatamente la mente dalle sue nevrosi, portandola all'ordine e sollevandola da quel carico di responsabilità tanto gravoso quanto inadatto alle sue capacità.
Essere in Arte diviene dunque uno stato interiore, non un azione, capacità manifesta o comportamento.
Ogni esteriorità è passibile di copiatura, imitazione... ridurre l'arte a ciò che si vede, che può essere valutato, stimato, misurato o giudicato da altri che non sia l'artista stesso, ovvero la coscienza interiore della persona che sperimenta lo "stato d'arte", sarebbe un errore. O meglio, un tale atteggiamento nei confronti dell'arte costituisce una minaccia ed un pericolo per l'arte stessa, in quanto espone all'errore, al rischio di scambiare la divinità con il suo idolo.
L'antropomorfizzazione di Dio, ovvero l'idolatria, così violentemente biasimata dal Cristo, è sorella dell'arte di massa, è figlia della stessa tendenza umana a voler ridurre l'assoluto in relativo.
Dunque nella sua accezione assoluta e oggettiva l'arte è ispirazione interiore, amore per la vita, empatia con l'armonia del creato, trascendenza dell'Ego nell'Essere; l'arte è innamorarsi della vita.
L'artista è un sensibile e raffinato essere umano, i cui stati interiori, forgiati nel coraggio di vivere, possiedono qualità sublimi che meritano di essere trasmesse, comunicate.
Ma nel suo significato relativo, l'arte deve essere riconoscibile da altri, manifesta, yang e sostanziale. Anche solo per poterne parlare, deve prendere forma.
Così il lato soggettivo dell'arte appare chiaro: l'arte è ciò che viene definita tale dal mondo.
Se quindi da un lato vi è un elemento interiore ed oggettivo, che può essere più o meno rilevante e raffinato, dipendendo dal livello dell'Essere della persona, dall'altro v'è la predisposizione più o meno marcata all'estrovertire gli stati interiori, a comunicare con l'esterno, con l'altro; a rappresentare in forma relativa, soggettiva, lo stato d'Arte interiore.
Così è il mondo; essendo esso relativo, riconosce solo ciò che gli somiglia.
Dunque colui che è in arte ma privo di capacità comunicative, potrebbe non essere mai riconosciuto tale; ed essendo il senso del Sé generalmente dipendente dal giudizio e descrizione altrui, faticherebbe persino a definirsi egli stesso artista.
Viceversa, colui in grado di compiere atti comunicativi, può giungere facilmente ad ingannare se stesso e gli altri, convincendo di un arte che, non essendo invero mai misurabile ed accertabile in senso oggettivo, potrebbe anche non sussistere affatto.
Se difatti tutti fossero ugualmente "in arte", se ogni persona percepisse il creato con la medesima sensibilità e profondità consapevole, 'artista, il comunicatore, in qualità di medium tra l'assoluto ed il relativo, perderebbe ogni utilità. Il mondo sarebbe infatti un sistema statico, maturo, granitico come una statua sempre uguale a se stessa... invece non è così; l'esistenza è un divenire, una perenne transizione da uno stato esistenziale ad un'altro, un viaggio esperenziale.
E' nel viaggio del mondo che l'artista trova il suo senso, la sua ragion d'essere.
Possiamo forse renderci ora conto dell'effettivo rischio cui si è esposti come società schiava inconsapevole di una ragione soggettiva e limitante: il giudizio del pubblico è immaturo, e l'arte lo sarebbe di conseguenza, e colui riconosciuto come artista lo sarebbe di conseguenza...
Direi che per una piccola riflessione, questo sia abbastanza.
Termino tuttavia con uno spunto che ritengo potrebbe portare ad approfondire ancora e meglio le ripercussioni sul quotidiano delle filosofie espresse.
Quali sono i generi cinematografici più gettonati ed apprezzati dal pubblico?
Quali sono le scene più attraenti, quelle che muovono emozioni in noi, quelle di cui poi parliamo con gli amici?...
PERCHE'? ...
Dal :
Nessun commento:
Posta un commento