Dalle mastabe arrivano ai nostri giorni le opere più belle, importanti e significative di tutto l’Antico Regno. L’impiego della tecnica artistica in questi secoli è subordinato soprattutto ai tipi di supporti ed alla qualità delle pietre che gli artisti hanno a loro disposizione per eseguire le opere pittoriche, di bassorilievo e di scultura. Queste pietre venivano preventivamente selezionate e trattate da personale specializzato, quindi consegnate agli artisti per la loro decorazione. La pittura si
sviluppò sia grazie alle tecniche che ai linguaggi, le raffigurazioni, in questo periodo, sono già in policromia e hanno abbinamenti coloristici di grande effetto che ancor oggi conservano forza, eleganza e fascino.
La tomba di Itet a Meydum: Prendiamo ad esempio la decorazione con oche ritrovata nella tomba di Itet a Meydum, che ancor oggi con grande vitalità raffigura una piccola parte di un’opera parietale di grandi dimensioni, il cui tema è la caccia. Questa decorazione è probabilmente il più antico capolavoro che ci giunge quasi intatto e senza aver sofferto minimamente l’usura del tempo. Sia le opere in bassorilievo che quelle in pittura raffigurano le stesse tematiche con gli stessi linguaggi espressivi, svolgendo il ruolo, non soltanto di imitare la natura ma di oltrepassarla e di ricostruirla, in una composizione di immagini sempre subordinata a un canone dettato dalla magia, che predomina sempre nelle opere artistiche.
Qui risulta abbastanza evidente che il bisogno di sentire sempre vivo colui che è defunto e di cogliere in una persona o in un oggetto i suoi più caratteristici elementi, sostanziali ed essenziali, sta all’origine del grande assortimento iconografico, derivato dalla vita di tutti i giorni, e dalle convenzioni che disciplinano il disegno. Si sente con forza l’esigenza di far risaltare le caratteristiche somatiche delle figure umane e di stimolare gli artisti egizi a raffigurarle in un insolito modo prospettico, come ad esempio: un viso disegnato di profilo, con occhio, spalle e petto, appartenenti invece ad una prospettiva frontale. L’attaccatura delle braccia è fortemente rimarcata proprio dalla combinazione delle due prospettive e gli arti sono volutamente di profilo per interpretare l’orientamento dell’incedere; ogni singolo elemento del personaggio in questione è raffigurato nella sua prospettiva più importante. La figura viene così sviluppata completamente sul piano e sfrondata da tutti gli elementi che non la caratterizzano, diventa così un condensato delle sue più importanti caratteristiche.
Il linguaggio artistico egizio è un insieme di rigidissime regole che ogni artista deve imparare sin dalla sua infanzia: le figure scultoree sedute devono essere raffigurate con le mani sopra le ginocchia, la pelle dell’uomo deve essere più scura di quella della donna, il dio raffigurato viene rigidamente prestabilito a seconda di ciò che dovrà rappresentare. Ogni artista deve conoscere perfettamente la scrittura ideografica ed avere una grande abilità nell’arte dell’incisione su pietra. A tutto questo si deve aggiungere un occhio straordinariamente sensibile ai colori ed ai tratti. Uno dei più grandi pregi della pittura dell’Antico Egitto è che, ogni oggetto d’arte, sia esso d’architettura, scultoreo o pittorico, sembri dare l’impressione di inserirsi nello spazio al richiamo di una legge universale. Tale legge, cui obbediscono tutte le creazioni di questo periodo, ci porta ad assimilarla ad un linguaggio artistico vero e proprio. I canoni che regolano l’arte egizia conferiscono ad ogni individuale creazione un eccezionale equilibrio ed una rigorosa armonia.
Possiamo osservare inoltre che anche gli intenti speculativi di mercanti d’arte, spingono gli artisti alla creazione di certe composizioni. Il commercio è fiorente e si sviluppa a tal punto che estende il suo interessamento anche alle persone che non hanno ruoli istituzionali. Chiuso in una costruzione a struttura cubica, il ritratto funerario di Chefren è il modello principe delle rappresentazioni faraoniche, del loro immutabile, maestoso, impassibile atteggiamento di riposo, che non dà assolutamente l’idea della morte, ma è esempio della grandezza e dell’immortalità. Le figure, malgrado le loro posizioni di immobilità (sedute o distese), rappresentate su legno o su pietra, emanano forte vitalità incarnando il personaggio e donandogli la continuazione della vita verso l’eternità. La scultura che raffigura Gioser, dentro il serdàb della piramide a gradoni, doveva essere in grado di vedere gli avvenimenti esterni da piccole aperture e viceversa non essere vista.
Nel Primo Periodo Intermedio, che va dalla settima alla decima dinastia, intorno agli anni tra il 2230 e il 2040 a.C., con il crollo del delicato equilibrio del periodo precedente, le tendenze centrifughe hanno purtroppo il sopravvento su tutto ciò che ruota intorno all’arte e, soltanto con la riunificazione nazionale fatta dai faraoni dell’11° dinastia, incomincia la lenta ripresa artistica sul modello dell’Antico Regno. Nel campo dell’architettura, tuttavia, l’umana misura del singolare tempio di Mentuhotep a Deyr el-Bahri non può essere paragonato alla grandiosità dei complessi funerari del periodo delle piramidi, mentre le rappresentazioni in rilievo ed in pittura hanno la caratteristica della chiarezza e del rigore tematico.
Le rappresentazioni statuarie di Sesostris III e della famiglia reale vengono espresse in forme gigantesche su granito rosso. Anche le sfingi con barba di Amenemhet III, che impersonano il faraone e la sua potenza sono colossali e su granito rosso. Più affrancato dai dettami dell’arte ufficiale è il complesso di piccole sculture in legno dipinte soltanto nei punti in cui l’artista ha colto energicamente i particolari della vita quotidiana. Con il secondo periodo intermedio ritorna il disordine nazionale e il potere del faraone viene indebolito; l’Egitto, rimasto ormai quasi senza nessuna difesa di fronte alla minaccia degli Hyksos dell’Asia Minore, come la fenice si rigenererà dalle proprie ceneri per trascorrere il suo più bello e significativo periodo artistico.
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